LE PECORE NERE DELLA FAMIGLIA.
“Mi sono vergognato di me stesso quando ho capito che la vita è una festa in maschera ed io ho partecipato
con la mia vera faccia.” Kafka.
Quando ho letto questa citazione, l’ho traslata in automatico nella vita familiare, pensando subito ai ragazzi
adolescenti, spesso vittime di un sistema familiare tossico e disfunzionale, caratterizzato dai cosiddetti
triangoli perversi, triadi che rappresentano coalizioni di vario tipo: tra due individui appartenenti a
generazioni diverse a danno di un terzo ( in questo caso tra un genitore e un figlio contro l’altro genitore) o
tra due genitori contro uno dei figli, etichettato come “prescelto” o “capro espiatorio.”
L’esistenza di questa coalizione non viene mai resa esplicita, ma anzi è negata ed è proprio per effetto di
questa negazione che un altro membro del sistema familiare, come anche lo stesso prescelto, pur di sentirsi
parte o di tenere unita la coppia genitoriale, somatizza la sua maschera, come può essere la maschera
acneica nel periodo di piena adolescenza, per il fisiologico scombussolamento ormonale tipico di quella fase
di crescita.
Quando si crea una nuova famiglia, senza aver curato e guarito le ferite emotive, è facile versare il proprio
“sangue infetto” su chi diciamo di amare più di tutti, sulle parti di noi, che rappresentano la prosecuzione
della vita: i nostri figli. Come si arriva a tutto questo, a volte con le “migliori intenzioni”? Si, la maggior parte delle volte è fermamente convinti di avere ragione e di far del bene. Il problema nasce dall’assenza di delimitazione della coppia genitoriale, dalla mancanza di quelle fondamenta stabili della “casa coniugale”, rappresentate dal triangolo dell’amore (di cui parlava Stenberg) ai cui lati abbiamo la passione e l’impegno e al vertice l’intimità, quel profumo familiare, quell’atmosfera relazionale che si respira in famiglia quando vengono conosciuti e rispettati gli “ordini dell’amore”.
Ogni coppia ha il diritto-dovere di trovare la sua posizione in un continuum tra la completa fusione e la
rigida delimitazione: l’ambito compreso tra questi due estremi permette il funzionamento diadico normale.
Con la nascita dei figli, se i confini tra questi ultimi e il sottosistema genitoriale non sono netti, chiari e
definiti, iniziano a crearsi schieramenti di vario tipo, triangolazioni, invischiamenti e deviazioni, che possono
assumere la forma di attacco o appoggio a danno dei figli.
-ATTACCO, qualora il comportamento del figlio sia considerato distruttivo o cattivo, non conforme a ciò che i
genitori si aspettano, alle loro regole, ai ruoli da loro assegnati. Per questa aspettativa disattesa i genitori,
seppur in disaccordo tra di loro per le ferite reciproche non guarite, si alleano contro il figlio, che così si
inserisce nella frattura relazionale della coppia coniugale, riempendola;
-APPOGGIO, se il figlio viene definito bisognoso di aiuto, malato, depresso e i genitori in conflitto tra loro si
associano per proteggerlo, come avviene tipicamente nelle famiglie con disturbi psicosomatici.
Proprio in quest’ultimo caso uno dei figli riveste il ruolo del capro espiatorio, colui che DEVE assumersi la
responsabilità di tutti gli errori commessi dagli altri, dai genitori e addirittura dall’ intero sistema familiare e
l’altro, quello considerato “malato”, diventa l’eletto.
Entrambi, eletto e capro espiatorio, non hanno la consapevolezza del ruolo che è stato loro attribuito e con
il tempo possono anche accettare le “etichette” che sono state appiccicate all’identità, fino a riconoscerle
come proprie.
Ovviamente da un lato il capro espiatorio non è solo un “escamotage” per alleggerirsi la coscienza, ma
anche e soprattutto uno “strumento” per mantenere ed esercitare il potere; dall’altro lato l’eletto è il
“mezzo” attraverso il quale i genitori si sentono bravi ed in grado di assolvere alla loro mission.
È inevitabile che ciò accada quando madri o padri non hanno ben compreso il ruolo genitoriale e vedono i
figli solo come subordinati e non come individui a sé, all’interno di un sistema familiare funzionale.
Tutto questo porta ben presto alla messa in scena del “carnevale familiare”, alla rappresentazione di quello
psicodramma dove le protagoniste sono le emozioni e i loro mille travestimenti: una forma dolorosissima di
bullismo mascherato, perché arriva proprio da parte di chi avrebbe dovuto proteggere, sostenere, amare.
I genitori controllano il gioco, spesso rimanendo dietro le quinte e facendo esporre sul palcoscenico della
vita familiare proprio coloro che avrebbero dovuto essere protetti e che, andando in scena “senza
maschere”, ne somatizzano subito una, come può essere quella dell’acne o altre malattie della pelle, che
rappresenta il “confine corporeo” che ci separa dall’ambiente circostante, il tramite tra l’esterno e l’interno
di noi, tra chi realmente siamo e chi gli altri vogliono che diventiamo.
La pelle è sinonimo di identità ed è attraverso la pelle che diventiamo degli esseri in grado di amare: “non si
impara ad amare sui libri, ma essendo amati.”
Chiaramente sia il prescelto sia il capro espiatorio sono vittime del sistema: possono essere facilmente
etichettati come “pecore nere”, se per esempio il prescelto guarisce o il capro espiatorio si ribella.
I figli, da piccolissimi, vedono se stessi con gli occhi del genitore e, in assenza di altre figure o voci che
impartiscono messaggi positivi e inducono una sana crescita, finiscono per assumere lo stesso punto di vista
del genitore che li sottomette: il prescelto si ammala realmente, finendo per far avverare la profezia
genitoriale e il capro espiatorio finisce per diventare il cattivo della situazione, riproponendo quello schema
rabbioso in tutte le altre relazioni significative della sua vita.
In questo clima carnevalesco ci si auspica che, crescendo, i figli vittime di un sistema familiare tossico,
imparino a riconoscere i segnali che spesso la vita stessa offre per guidarli sulla strada della guarigione,
affrontando, elaborando e trasformando quel dolore devastante che ha inquinato il loro cuore e ferito
l’identità.
Dal dolore si viene fuori solo decidendo di tuffarcisi dentro, attraverso una consapevolezza di tipo operativo,
sradicando le radici velenose, prendendo le distanze emotive e fisiche dal sistema tossico e gettando i semi
di una nuova fioritura: le pecore nere sono per questo liberatrici del loro stesso albero genealogico.