IL PIACERE DI ESSERE GENITORI
Il piacere, insieme alla rabbia, alla paura e al dolore, è una delle quattro sensazioni di base che cuciono su misura, nel corso degli anni, il nostro “abito comportamentale.” L’ambito del piacere racchiude moltissime emozioni e sensazioni differenti, come desiderio, gioia, passione: solo se mal gestite strutturano delle vere e proprie dipendenze che, come tutte le dipendenze, possono trasformarsi in trappole, costruite da una continua e soffocante serie di abitudini mentali e comportamentali. Perché allora come genitori abbiamo così tanta paura del piacere? Perché, in modo quasi automatico, finiamo per ripetere sempre le solite frasi che hanno funzionato come mantra nella nostra mente, per le innumerevoli volte che le abbiamo sentite? “Mazza e panella fanno i figli belli”, “Prima il dovere e poi il piacere”, “Prima studi e poi ti diverti”, detti che costituiscono le fondamenta delle nostre convinzioni e abitudini, che appaiono impossibili da cambiare perché “ da che mondo e mondo si è fatto sempre così”. Ci chiediamo ogni tanto se il nostro modo di percepire e mettere in atto il processo educativo sia autentico, frutto della nostra curiosità, del nostro “piacere” di rapportarci ai figli in modo sempre nuovo e diverso a seconda dei contesti, dei momenti e delle circostanze? Che idea abbiamo dell’educazione? È un processo in continuo divenire o qualcosa di consolidato e immutabile tramandato di generazione in generazione? Con le migliori intenzioni, tendiamo a ripetere le solite frasi che, anziché costruire ponti, innalzano muri con i mattoni dell’orgoglio, della presunzione, della rigidità (che è solo fragilità mascherata). I silenzi, le parole non dette, le parole dette a vanvera, le urla, le minacce, i ricatti emotivi, sono il linguaggio dell’autorità, non dell’amorevole autorevolezza. Mi ritrovo più facilmente a guardare con gli occhi dei ragazzi ancora pieni di stupore, meraviglia, anche di dolori e sofferenze inespresse e rinchiuse in disordine nei tanti cassetti della coscienza, piuttosto che con gli occhi dei genitori, chiusi molte volte dietro le sbarre delle prigioni invisibili, fatte di schemi mentali, emotivi e comportamentali sempre uguali. Ho imparato tanto dai ragazzi, troppo facilmente etichettati da noi genitori in momenti di stress, rabbia e dolore. Con questo non voglio accusare o ripartire torti e ragioni: rifletto e mi chiedo quanto cambierebbe in meglio la vita di molti genitori se imparassero a lasciare andare tutto ciò che non funziona nella relazione con i propri figli, se imparassero a “sentire” più che a ostinarsi a mettere in pratica modelli educativi obsoleti, che non funzionano più. Le regole sono fondamentali, protettive e confortevoli: è il modo in cui vengono impartite che può davvero fare la differenza. Se è vero che fare il genitore è il mestiere più difficile per l’essere umano, è anche vero che, se guardassimo da diverse prospettive e puntassimo ai benefici anziché alle difficoltà tutto cambierebbe: – se il nostro obiettivo fosse non fare il genitore ma essere genitore, -se iniziassimo ad apprezzare e ad essere grati per la presenza gioiosa ed emozionante di qualcuno in cui potersi rispecchiare, – se spostassimo il focus su di noi e imparassimo a guardarci nello specchio dei nostri figli, per ri- incontrare e riabbracciare il bambino in noi, che sente la gioia di fare le cose, cosa faremmo di diverso con i nostri figli?
Il piacere è l’eros, quell’energia propulsiva alla vita, ciò che fa muovere verso qualcosa di più elevato e l’educazione dovrebbe e-movere, emozionare, muovere verso la bellezza. Il piacere è l’amore per la vita stessa. In che modo allora possiamo accrescere nei nostri figli questa energia vitale? Vivendo il piacere sulla nostra pelle, non dimenticandoci di noi come persone, prima ancora che come genitori, mantenendo intatti e definiti i confini del nostro spazio vitale, riservato esclusivamente alla relazione con noi stessi, ascoltandoci, osservandoci, amandoci. Essere Presenti quando siamo in loro compagnia significa essere lì, vicini al loro cuore e non solo essere presenti fisicamente: significa imparare a sentire quello che loro sentono, non giudicarli e accoglierli trasmettendo costantemente il messaggio che, a prescindere dalle loro azioni, giuste o sbagliate che siano, voi siete e rimarrete il loro porto sicuro. Giocate, dialogate, divertitevi: è la qualità del tempo trascorso insieme a fare la differenza. Create piccoli e duraturi rituali, da trasformare a seconda dei periodi di crescita. “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.”